2018 70° dall’entrata in vigore della Costituzione Italiana
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra costituzione. Piero Calamandrei
2018 a 15 anni dal Premio Scenario per Ustica versione aggiornata
Cuori di terra
Memoria per i sette fratelli Cervi
“Per la lettura non agiografica della storia dei Fratelli Cervi riletta nella complessità di una vicenda che connette impegno politico e battaglie quotidiane per l’emancipazione della persona e il progresso nelle relazioni umane, nel lavoro e nella società. Un lavoro arricchito da verità ed efficacia recitativa e da un’attenta ricerca storica e musicale. Il punto di vista femminile rilegge l’intera vicenda anche grazie alla capacità interpretativa della protagonista”.
Giuria del Premio Ustica per il Teatro 2003
Bernardino Bonzani, Monica Morini
ricerca e composizione musicale
Davide Bizzarri
attori
Bernardino Bonzani
Monica Morini
esecuzione musicale
Davide Bizzarri violino
Claudia Catellani piano
Giovanni Cavazzoli contrabbasso
In un’aia di una corte contadina, sotto una barchessa o in una stalla, si potrebbe raccontare questa storia, il sacrificio di una famiglia reggiana unita come le dita di una mano. Così emblematica per il suo esito tragico, quella dei Cervi, rappresenta la storia di molte famiglie emiliane, di un popolo che matura una consapevolezza politica e sociale orientata verso i principi di solidarietà e di umanità, in un cammino di emancipazione che inizia sul finire del 1800 e si manifesta con l’antifascismo e la Resistenza. Ma quello che rende più singolare la vicenda dei Cervi è la grande vitalità che si intravede; il coraggio, la capacità di iniziativa, l’intelligenza, l’arguzia, il clima di allegria con cui la famiglia visse dal principio alla fine la sua tragedia.
Siamo partiti dall’oralità del racconto, come se di bocca in bocca, si facesse “filos” sulla paglia, sotto le volte della stalla. Abbiamo incontrato una grande ricchezza di situazioni, tante figure parevano venirci incontro e trasmettere una speciale energia epica. A dar linfa al racconto, le parole dei libri di Alcide e Margherita Cervi, la visione delle lettere, dei documenti e degli oggetti del Museo, gli scritti di letterati e politici. Il lavoro, però ha preso cuore e vigore grazie alle testimonianze dirette e ai racconti, come quelli di Maria Cervi, figlia di Antenore. Il punto di vista dei narratori in scena è rispettivamente quello maschile e quello femminile, come se di volta in volta a parlare fossero gli uomini, papà Alcide e i suoi figli, o le donne della famiglia, la mamma Genoveffa e le nuore, sempre presenti, a volte più silenziose, ma pronte al sacrificio e alla continuità della vita, senza perdere il senso delle cose, dei sentimenti e forse anche della storia.
La ricerca sulla parola si intreccia a quella musicale, da cui riceve forza e sentimento. Le note che accompagnano lo spettacolo sono ispirate ai fatti raccontati, attingono alle suggestioni provenienti dalla musica contemporanea e, indietro nel tempo, alla tradizione dei Violini di Santa Vittoria. Fin dal 1700 infatti, nella bassa pianura reggiana, alcuni lavoratori stagionali si dedicarono, durante i tempi morti del lavoro nei campi, alla musica da ballo, creando uno stile originale grazie al miscuglio di tradizioni che in questa zona si incontravano: dalla musica austriaca, a quella magiara ed ebraica. Musica di festa, vitalità, movimento, come nell’imbandigione di pastasciutta che la famiglia offre a tutto il paese per festeggiare il crollo del regime, all’indomani del 25 luglio 1943.
A un uomo che domanda come si possa prevenire la guerra, Virginia Woolf, nel libro Le tre ghinee, risponde: “Occorre narrare biografie”. Quasi a suggerire che, nell’imminenza di una guerra e perciò di migliaia di morti, l’antidoto migliore è quello di raccontare delle storie di vita, dell’unicità insostituibile di quelle vite, patrimoni che possono essere perduti per sempre. Nel nostro percorso di ricerca, mentre ancora raccogliamo i fili di questa storia, ci sentiamo di dire, con Maria Cervi, che ciò che più ci manca oggi, sono loro: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore. Vederli spuntare dietro ai salici, dai campi, tutti e sette con le falci sulle spalle, pronti a srotolare il loro miracolo di umanità.
“Qui da questo filare comincia la terra dei sette fratelli. Questa piana sono state le braccia dei sette fratelli a lavorarla, questi canali, questa vigna, ogni cosa qua intorno, l’hanno fatta i sette fratelli; e questa è la loro fattoria, quella è la stalla, la famosa stalla razionale, orgoglio dei sette fratelli, e le bestie famose per il latte e per il peso, e là sono gli alveari di Ferdinando, il quarto dei sette, l’apicoltore; ed ecco l’ala della casa che fu incendiata quella notte, ecco le finestre da cui i fratelli risposero al fuoco dei fascisti, ecco il muro contro il quale furono messi in fila a mani alzate dopo che Gelindo aveva salutato le donne e detto che resistere non si poteva più e che conveniva arrendersi per poi cercare di scappare, e Aldo aveva detto che stessero tutti tranquilli, che avrebbe preso lui la responsabilità di tutto e così anche se lo fucilavano restavano sei di loro a far andare avanti la campagna; la storia dei sette Cervi si è svolta tutta qui, in questa fattoria , su questa terra.” (Italo Calvino)
RECENSIONI
Povera ma bellissima, così rivive la tragica storia dei fratelli Cervi, di Umberto Gandini
Bolzano per La Comune “Cuori di terra” con grandi applausi ad attori e musicisti
BOLZANO. Quella dei fratelli Cervi assassinati dai fascisti è una storia talmente straziante da far pensare che nessuna ricostruzione scenica potrebbe risultare all’altezza della tragedia accaduta nella realtà. A meno che non la si affronti con l’umiltà della narrazione piana, dell’esposizione «povera», della profonda partecipazione emotiva. È quello che hanno fatto appunto Bernardino Bonzani e Monica Morini, autori e interpreti di «Cuori di terra» che si è avuto l’opportunità di vedere e di ammirare l’altra sera a Bolzano, al teatro di Gries, inserito nel programma della Comune.
I due autori-attori raccontano l’antefatto della tragedia risalendo agli inizi del Novecento, calandosi l’uno nei punti di vista maschili e l’altra in quelli femminili per dare delle vicissitudini della campagna emiliana un ritratto gioioso, mai enfatico, denso di belle emozioni, sottolineato dalle musiche discrete eseguite in scena da Davide Bizzarri (il violinista), Claudia Catellani (la pianista), Giovanni Cavazzoli (il bassista). I mezzi scenografici sono i più semplici che si possano immaginare, e servono via via solo per alludere o sottolineare.
Il modello al quale gli inventori e realizzatori dello spettacolo sembrano essersi ispirati è quello del «Cuore» di De Amicis. La vicenda dei fratelli Cervi, così come la porgono loro, potrebbe figurare benissimo accanto a episodi tipo quello intitolato «Dagli Appennini alle Ande»: come un dvd che protenda nel moderno mondo delle immagini lo spirito del romanzo.
La carta vincente dell’allestimento si riassume in concetti come sobrietà, toni bassi, dolcezza, distacco critico, semplicità, retorica della non-retorica. Dei due interpreti, entrambi bravi, spicca soprattutto lei, Monica Morini, per commovente comunicativa con cui sa porgere le battute. Il pubblico, dopo aver ripetutamente applaudito a scena aperta i momenti più intensi e anche visivamente suggestivi dell’allestimento, ha alla fine decretato alla troupe un sincero e meritato trionfo.
(Alto Adige, sabato 7 febbraio 2009)
La narrazione alternata all’immedesimazione…a tratti quasi una coralità di figure – rielaborate con intelligenza, sensibilità, somma discrezione.
In Cuori di terra ogni elemento possiede una sua giusta verità, in un bell’equilibrio che è insieme storico e teatrale, i linguaggi della scena capaci così di restituire, nella sintesi, nell’artificio, nella proposta per cenni, brevi passaggi, l’essenza di un clima, di un’ambientazione, tra discorsi, legami affettivi, che si trasmette con forza e quiete ad un tempo agli spettatori. Molto bravi gli autori e protagonisti, accompagnati dalle musiche suonate dal vivo … una grande, preziosa cura d’insieme.
Valeria Ottolenghi – Gazzetta di Parma
Ed è con una folgorante narrazione, e una scenografia semplice ma capace di sorprendere (l’emozionante trattore sono due sedie, un volante e un mappamondo), che il Teatro dell’Orsa ha commosso all’Ariosto con lo splendido “Cuori di terra “. Il gruppo reggiano proponeva il lavoro vincitore del Premio Ustica. Ed è stata una rivelazione, con Bernardino Bonzani e Monica Morini (autori e ottimi interpreti) che tolgono ogni retorica al mito dei fratelli Cervi, ripercorrendone la storia tra momenti felici, pastasciutte della libertà e lotte, fino alla tragedia.
Paolo Patria – Il Resto del Carlino
Si tratta di un atto unico costruito sui due libri I miei sette figli del vecchio Alcidee Non c’era tempo di piangere…, che realizza un equilibrio decisamente felice tra una spiccata ed apprezzabile fedeltà filologica ai testi e la libertà creativa degli artisti.
Questo lavoro non è soltanto fortemente coinvolgente, è soprattutto convincente…
Bisogna dire che gli attori-autori di Cuori di terra sono particolarmente bravi nei momenti del dramma finale, quando sarebbe stato facile rifugiarsi in schemi abusati e cedere in certa misura alla retorica. Niente di tutto questo, ma uno spettacolo davvero gratificante che, portato nelle scuole, a contatto con i giovani, può valere molto di più di tanti discorsi pure seri edopportuni.
Marco Cecchini – Patria Indipendente
La compagnia ha dato vita al forte e struggente racconto della storia dei sette fratelli Cervi, figure emblematiche della Resistenza reggiana ma anche protagonisti di un momento storico in cui vita quotidiana, speranze di un futuro migliore, politica e amore per la propria terra si intrecciano. Tanti i livelli di narrazione utilizzati, anche grazie ad una lunga ricerca storica, passata non solo attraverso la lettura dei documenti d’archivio ma anche attraverso i ricordi dei testimoni. Il rischio di un ritratto celebrativo è stato superato grazie all’intensità comunicativa fatta di gesti, linguaggio volutamente immaginifico e con echi popolari, densità emotiva infusa ad ogni passo, quasi a calare i Cervi e la loro realtà nella dimensione della modernità più attuale. Lo ha capito il pubblico che ha tributato caldi applausi.
La Provincia di Como
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